martedì 3 luglio 2012


Da Facebook alla "Russia offline"
La protesta riparte dalla provincia

Un sit-in di solidarietà con Taisia Osipova a Mosca viene sgomberato dalla polizia di fronte alla sede dell’ex Kgb

Volantini e lezioni su Mandela
in piazza: «Non è vero che fuori Mosca tutti amano Putin»

SMOLENSK
La stagione delle dacie, quando tutti fuggono in campagna stirando il weekend al massimo, è aperta. Di tanto in tanto i leader dell’opposizione fanno capolino al Comitato Investigativo, dove sono sotto inchiesta per «disordini di massa». Ma le proteste sono sospese per ferie: la prossima manifestazione sarà a metà settembre. E allora si va fuori Mosca, a Smolensk, 400 km a SudOvest, nella provincia russa grande tallone d’Achille dei contestatori, la «Russia offline» dove le proteste non fanno breccia e il controllo è maggiore. Qui Taisia Osipova, 27 anni, diabetica e mamma di una bimba di 6 anni, attivista del movimento d’opposizione Altra Russia, è in carcere da 18 mesi e rischia 10 anni per «spaccio di droga». Un processo politico, secondo alcuni, ha suscitato dubbi persino nell’ex presidente Medvedev che l’ha fatto riaprire.

Taisia è paffuta, non è bella né trendy come le punk dissidenti Pussy Riot, beniamine dei media occidentali. «Dicono che se in aula non ci sarà nessuno, la sentenza sarà molto dura. Io ho la macchina, la prossima udienza è mercoledì, chi vuole venire?», lancia l’appello su Facebook Tamara Eidelman, 53 anni, insegnante di storia al liceo statale N° 1567 sulla prospettiva Kutuzovsky, uno dei migliori della capitale. Tamara fa parte dell’élite intellettuale che nei mesi scorsi è scesa in piazza, ma non riesce a farsi vedere in tv né sui giornali. H avuto una medaglia al merito da Putin, ma si è iscritta alla «Macchina Buona della Propaganda», il sito del blogger Alexey Navalny per reclutare attivisti pronti a diffondere il verbo dissidente nella Russia profonda, una sorta di moderno agitprop. Alla spedizione si uniscono Ulia e Ola, entrambe 23 anni, appena laureate, una in teatro, l’altra in belle arti, attive nella recente «Occupy» moscovita.

La vecchia Volkswagen della «Prof» si inoltra tra boschi di conifere e campi di lavanda, un rettilineo che arriva dritto al confine con la Bielorussia di Lukashenko, l’ultima dittatura d’Europa. Si punta verso Smolensk, chiese con cupole a cipolla e palazzi dell’epoca zarista sul Dniepr, ci passarono le truppe di Napoleone e Hitler. Non è una città povera: vive di transito (colonne di Tir interminabili, e forse contrabbando), e taglio dei diamanti. Ma i marciapiedi sono in stato disastroso. Il nastro bianco dell’opposizione, che Tamara ha annodato sulla borsa, qui è una rarità. Pochi hanno sentito parlare del caso Osipova, ma Alex, proprietario dell’ostello nello scantinato dietro la piazza col busto di Marx, lo conosce e dice «Sono con voi».

Da Mosca arrivano in treno altri tre attivisti. Non è la loro prima missione fuori: hanno raggiunto Yaroslavl, a Nord, per il monitoraggio del voto che ha aiutato la vittoria dell’opposizione, e ad Astrakhan, sul Caspio, dove il candidato sindaco sconfitto aveva lanciato uno sciopero della fame per protesta contro i brogli. «C’era un clima ostile, la polizia ci seguiva in strada, ma è venuta un sacco di gente, coi nastri bianchi – racconta Tamara. – Ho capito che non è vero che la provincia è tutta per Putin. Dobbiamo informare, convincere».

Il gruppetto critica la linea dei «capi»: le manifestazioni in piazza non bastano più, bisogna trovare nuovi e diversi tipi di protesta. «Scrivere volantini “Putin ladro” è stupido e serve a poco – dice Ulia – scriviamo cosa ha rubato, quando e dove, punto per punto. Dobbiamo parlare di asili, scuole, contattare le università, parliamo di problemi sociali». Pensano a creare database per ogni città, «per aggiungere temi locali». Tamara infila ogni mattina un pacco di volantini antiPutin nell’ascensore del suo condominio: «Ma dopo 10 minuti spariscono, è una lotta quotidiana». Però ha fiducia: «Le nuove generazioni sono completamente diverse da noi, non hanno mai vissuto nell’Urss e hanno teste libere. Possono cambiare le cose».

Ola non ha detto ai genitori del suo viaggio. Il padre è un ex deputato, pentito, del partito putiniano Russia Unita: «Per lui le manifestazioni non servono a nulla, dice che è impossibile cambiare la Russia». La «Prof» scherza: «Magari finirà come in “Mississipi Burning”, gli attivisti che spariscono per strada, o vengono ammazzati».

L’udienza si svolge a casa di Osipova: ispezione con incidente probatorio. Il nuovo processo è stato rinviato cinque volte, i testimoni non si sono presentati. Osipova è nella lista dei prigionieri politici dell’opposizione, un ricorso è approdato a Strasburgo. La casa è una villetta in mattoni nel silenzio della campagna, un gruppo di poliziotti viene incontro su per il sentiero: «Abbiamo avuto ordine di non farvi avvicinare». Ulia cita pronta la legge: «Abbiamo il diritto di filmarvi, siete nell’esercizio delle vostre funzioni». Tamara si siede su un masso, tra il cinguettio degli uccelli, e attacca la sua lezione su «Resistenza pacifica da Socrate a Martin Luther King», che aveva già tenuto agli Occupy di Mosca. «C’era una volta un uomo, viveva in Sud Africa, si chiamava Nelson Mandela…», poi Ghandi e Thoureau. Gli uomini in divisa voltano le spalle, guardando altrove. Ma un paio ascoltano attenti la «professoressa emerita» venuta da Mosca a difendere qualcuno che nemmeno conosce.

articolo di LUCIA SGUEGLIA, tratto da 'la stampa'

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