giovedì 28 giugno 2012


Un generale del ministero degli Interni: in Russia è avvenuta la completa saldatura dello stato con la criminalità
 
Il generale di divisione del ministero degli Interni della Federazione Russa e noto criminologo russo Vladimir Semënovič Ovčinskij, che in passato fu a capo dell'ufficio russo dell'Interpol, ha concesso un'intervista che ha colpito per sincerità. Il generale ha ammesso che in Russia è avvenuta la completa saldatura dello stato con la criminalità e che i banditi si sono "trincerati" a tutti i livelli del potere.
Secondo l'esperto, i raggruppamenti criminali organizzati (OPG [1]) del periodo della tarda URSS e dello stabilimento del sistema statale russo contemporaneo non si sono nascosti da nessuna parte, ma sono semplicemente mutati qualitativamente. "Probabilmente la principale differenza dei nuovi banditi sta nel fatto che mai – né negli anni '80, né negli anni '90 – c'era stata una così massiccia presenza di rappresentanti delle strutture statali ufficiali negli OPG. Si può dire con certezza che da noi nel paese non ci sia una sola struttura statale "immacolata" – che sia il governo, un ministero, l'apparato dei governatori o una giunta comunale", – dice il dottore in Scienze Giuridiche Vladimir Ovčinskij.
Un posto particolare in questa "hit parade" della corruzione è occupato dalle strutture armate. Neanche nei "feroci anni '90" ci fu un così massiccio coinvolgimento di agenti delle forze dell'ordine nelle OPG. "In qualità di illustrazione si può portare il totalmente fantastico caso dei procuratori dei dintorni di Mosca che gestivano il "racket" del gioco d'azzardo. Come ex capo dell'Interpol affermo che non esistono analoghi al mondo", – ha aggiunto il criminologo. A suo parere, i procuratori dei dintorni di Mosca si sono rivelati rappresentanti di una specie del tutto nuova di criminali. Non sono semplicemente dei corrotti.
"Queste persone avevano incluso in se la funzione dei banditi. Estorcevano personalmente, minacciavano personalmente, accompagnavano personalmente i banditi. Non è mai successo che il vice-procuratore della regione di Mosca sia fuggito e sia ricercato. E' una cosa senza precedenti", – dice Vladimir Ovčinskij. Letteralmente a maggio 2011 si era concluso il processo alla OPG "di Bratsk [2]" che si occupava di attività da raider, di attività boschive illegali, omicidi e racket. Questo sindacato criminale era capeggiato da un deputato del partito pro-Cremlino "Russia Unita", il noto uomo d'affari Vadim Maljakov. E l'iniziatore degli omicidi era il capo dell'UVD [3] di Bratsk Vladimir Utvenko, i cui ordini erano eseguiti da poliziotti e banditi. Infine, coordinatore delle loro azioni era il deputato dello LDPR [4] Aleksandr Zagorodnev. Vent'anni anni fa solo a qualche raro bandito riusciva "penetrare al potere". Un "fortunato" del genere fu, per esempio, un "ladro nella legge" [5] soprannominato Barboncino, che ottenne lo status di assistente "sociale" [6] del presidente della Federazione Russa Boris El'cin. "A suo tempo qualcuno lo piazzò furtivamente. Ma ciò non durò a lungo", – ha aggiunto il generale di divisione del ministero degli Interni.
Un altro esempio singolo è il noto bandito Michail Monastyrskij, che si è seduto in una poltrona da deputato. "Ma sono tutti esempi singoli. Ciò non aveva un carattere di massa, ecco in cosa consiste la differenza principale. Ma ora avviene una qualche "statalizzazione della mafia" – le strutture mafiose di fatto hanno preso a sostituire la leadership reale", – dice il dottore in Scienze Giuridiche. La mafia russa si sente a suo agio perfino nelle sfere legali del mondo degli affari, mentre in Europa la criminalità organizzata si esclude gradualmente da là. Un esempio di trasformazione di assassini in "manager efficienti" [7] è la banda degli Capok nel villaggio cosacco di Kuščëvskaja nel Kuban' [8].
Il criminologo volge l'attenzione anche a un'altra tendenza pericolosa – a dare il cambio agli OPG in Russia sono giunti i clan. "Se prima ciò era caratteristico dei fuoriusciti dal Caucaso, adesso la tendenza si è diffusa in tutto il paese. Tutta la Russia è in mano ai clan. E a capo di questi clan, di regola, ci sono autorità del mondo criminale", – afferma Vladimir Ovčinskij. A suo dire, un OPG si può incriminare, ma Temi non è in grado di sgominare un clan. L'involucro del clan, composto da rappresentanti dell'intellighenzia (medici, economisti, insegnanti), ritiene il nucleo criminale un'avanguardia ed è pronto a difenderlo.
"Così è stato, peraltro, a Kuščëvskaja. La banda che aveva occupato tutto il villaggio cosacco era pure un clan sui generis. In questo caso gli Capok formavano un nucleo di livello regionale", – nota l'esperto. Ora la Russia può essere colpita da una nuova ondata di violenza, in quanto perfino i criminali più incalliti, condannati nei "feroci anni '90", andranno in libertà. A dimostrazione il generale di divisione porta la statistica della Corte Suprema per gli anni 2004-2009. Per esempio, su tutti gli omicidi premeditati l'ergastolo è stato erogato nello 0,2% dei casi. In 25 anni ci sono state condanne solo nel 3-4% dei casi. Su 234 mila condannati per lesioni gravi, fra cui quelle che hanno causato la morte, hanno avuto il massimo della pena solo due banditi. E di questa categoria di condannati il 37% ha avuto la condizionale ed è rimasto in libertà. Per banditismo in questo periodo sono state incriminate 1180 persone. Tra queste solo tre hanno avuto il massimo della pena. Per aggressione di tipo banditesco sono state condannate 147 mila persone. Tra queste hanno avuto il massimo della pena solo in sette. Per l'abbastanza raro articolo "Organizzazione di comunità criminale" sono state condannate 440 persone. Tra queste solo 37 mafiosi hanno avuto il massimo della pena. "Ma neanche quelli che hanno il massimo della pena se ne dolgono particolarmente. Vanno in libertà condizionata dopo metà della pena. Perciò tutto il contingente degli anni '90, che, come ci sembra, è in prigione, è uscito da tempo. Tanto più che ci sono tutte le condizioni per questo", – ha ricapitolato Vladimir Ovčinskij.
A quanto dice il criminologo, nessuno dei vecchi banditi è divenuto un cittadino obbediente alla legge dopo la "gattabuia". Secondo la legge del mondo criminale, se uno era un leader, lo rimane. "Un generale del ministero degli Interni si può mandare in pensione e dimenticare, ma nella mafia i generali del mondo criminale non vengono mandati in pensione", – afferma l'ex capo dell'ufficio russo dell'Interpol. La criminalità russa ha anche le proprie "particolarità nazionali". Per esempio, in nessun posto al mondo ha avuto larga diffusione un tipo di reati come le attività da raider. Vladimir Ovčinskij ritiene che in una vera sconfitta nella guerra alla criminalità si sia mutata la fatale decisione del 2008, quando furono sciolte le UBOP (Upravlenija po Bor'be s Organizovannoj Prestupnost'ju [9]) e presto tutte le forze furono gettate nella lotta ai famigerati estremisti.
"Gli specialisti ritengono che nel 2008, dopo la liquidazione di questi reparti speciali, la situazione sia stata fatta tornare d'un colpo a 20 anni fa. In conseguenza di questo passo sconsiderato abbiamo perso le strutture che dovevano occuparsi della criminalità organizzata e insieme a queste un gran numero di professionisti", – dice il generale di divisione del ministero degli Interni. Inoltre i materiali di tipo investigativo riguardanti i raggruppamenti banditeschi organizzati sono stati perduti o distrutti. Anche se il pubblico è stato assicurato che tutto è stato conservato. Per questo a livello del paese sono rimasti incontrollati fino a 80 mila membri attivi di raggruppamenti criminali organizzati.
http://ingushetiyaru.org/news/23057.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Dalla dicitura russa Organizovannye Prestupnye Gruppirovki.

[2] Città della Siberia meridionale.

[3] Upravlenie Vnutrennich Del (Direzione degli Affari Interni), in pratica la polizia.

[4] Liberal'no-Demokratičeskaja Partija Rossii (Partito Liberal-Democratico di Russia), ad onta del nome partito nazionalista e populista.

[5] Criminale legato a un codice.

[6] Nel senso di "non partitico".

[7] Putin ha applicato tale definizione a Stalin...

[8] Regione della Russia meridionale.

[9] "Direzioni per la Lotta alla Criminalità Organizzata".
 
 

lunedì 18 giugno 2012


ACCUSE DI MORTE AD UN GIORNALISTA DELLA 'NOVAYA GAZETA' 

La democrazia russa sembra spostarsi di un passo in avanti e uno indietro. I nuovi movimenti sociali che domandano una maggior trasparenza dell’operato del sistema governativo si scontra con situazioni che sembrano riprendere vita dai terremotati anni novanta quando i confronti stile far west erano fatti giornalieri e le dispute si risolvevano a colpi di pistola.
Certi membri del parlamento non sono di fatto cambiati. Il loro modo di pensare sembra rimasto incagliato nel fango del passato. Il miglior modo di risolvere una questione passa attraverso una sparatoria. Perché perdere tempo in lungaggini democratiche fatte d’inutili parole? La pistola è molto più efficace. Basta ricordare che decine di giornalisti sono stati uccisi negli ultimi vent’anni in circostanze più che dubbie. I processi si sono arenati e la gente tenuta allo scuro.
L’ultimo di questi fatti ha avuto luogo qualche giorno fa, quando il direttore del giornale “Novaya gazeta” ha accusato il capo del Comitato Investigativo Alexander Bastrykin di aver guidato Sergey Sokolov, vice redattore del suo giornale, in una foresta fuori Mosca e averlo minacciato di morte. “La brutale realtà è che non solo ha minacciato di morte il mio collega ma l’ha anche schernito ricordandogli che sarebbe poi stato lui, l’investigatore a investigare sul suo decesso” ha aggiunto il direttore del giornale.
Il motivo della minaccia risale a un articolo pubblicato da Sokolov in cui il giornalista critica il modo in cui Bastrykin aveva trattato il caso contro Sergey Tsepovyaz il quale, sebbene accusato di aver coperto il massacro di dodici persone nella regione di Krasnoyarsk, è stato liberato dietro il pagamento di una multa di 4.500 dollari. Bastrykin non ha apprezzato le critiche del giornalista e per questo ha deciso di metterlo in guardia.
La minaccia rappresenta una violazione immane dei diritti umani e della libertà di stampa in Russia. Inoltre, acquisisce ancora maggiore cupezza se si pensa ai numerosi omicidi di giornalisti avvenuti negli ultimi anni, tra cui quello di Anna Politkovskaya, anche lei giornalista della “Novaya Gazeta”.
Bastrykin, dopo qualche giorno di silenzio, ha negato le accuse: “Non riesco neanche a ricordare l’ultima volta in cu sono stato in una foresta. Il lavoro intenso non mi lascia tempo libero per viaggi in campagna. Queste accuse sono solo insensate dichiarazioni di una mente creativa”.  
Il potere e l’influenza del Comitato Investigativo e di Bastrykin sono senza limiti. La sua impunità è assicurata, la possibilità del cittadino di mettere in discussione le sue decisioni è inesistente. L’organismo riferisce direttamente a Vladimir Putin, tra l’altro ex-compagno universitario di Bastrykin. 

MB

mercoledì 13 giugno 2012


LE MARCE CONTINUANO

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(Nel manifesto si legge : "Russia avanti! Senza Putin) 

Putin appena ricandidato e subito dà una rimpastata alle regole. Una delle prime mosse è stata quella di rendere la vita dell’opposizione e delle migliaia di persone che non lo vogliono più al potere più difficile, soprattutto dal punto di vista economico. Forse avrà pensato che se i manganelli dei temuti Omon (unità speciale della polizia russa) non bastano, magari qualche bella multa potrebbe azzittirli. Alcune delle multe sono le seguenti:
 - Se durante la dimostrazione si presenterà un numero di dimostranti maggiore di quello previsto dagli organizzatori, allora questi ultimi dovranno pagare tra i 250 e i 500 Euro.
 - Nel caso in cui i dimostranti intralcino la strada agli automobilisti o ai pedoni, la multa arriverà fino ai 1000 Euro.
 - L’utilizzo di maschere o altri oggetti i quali possono essere considerati pericolosi, sono proibiti. Come lo è partecipare alla dimostrazione in stato di ebbrezza. Qui la multa potrebbe giungere ai 7000 Euro. 
- Ogni tipo di raduno superiore alle tre persone, se non approvato dalla municipalità, può essere considerato illegale e quindi potenzialmente sanzionato.

Nonostante le misure appena descritte, la seconda dimostrazione pubblica rinominata “La marcia del milione” ha avuto luogo questo passato fine settimana. La milizia russa si è comportata in maniera stranamente civile. A differenza della prima marcia, non si sono avuto scontri. Eppure, il giorno della dimostrazione, i siti internet di alcune delle maggiori testate giornalistiche anti-governative, “Echo Moskvy”, “Novaya Gazeta” e il canale televisivo online “Dozhd tv” sono stati attaccati da pirata informatici e non hanno potuto trasmettere in diretta le proteste di quasi 100.000 dimostranti.
Chissà con quale altra trovata il governo cercherà di ostacolare la prossima marcia e spezzare l’avanzata della nuova società russa. 

MB

domenica 3 giugno 2012


Cecenia, scelte di vita

campo rifugiati ceceni
Campo rifugiati per ceceni (flickr/EU Humanitarian Aid and Civil Protection)
In Cecenia vi sono giovani che fanno rapidamente carriera e vivono nel benessere. Tessere le lodi di Putin e Kadyrov è una delle condizioni per riuscirci. Ma per tutti gli altri, la vita può essere molto difficile
Solo qualche anno fa, l'attuale gioventù cecena era tutta sulla stessa barca, o meglio nello stesso campo profughi. In senso letterale e figurato. Ammassati in tende e treni abbandonati nei campi profughi delle repubbliche confinanti con la Cecenia, i giovani erano uniti nelle simpatie e nell'odio. Appena adolescenti, pregavano per i ribelli ceceni e sognavano di crescere al più presto per unirsi alle milizie e vendicarsi dei russi. L'odio per la Russia li univa più di qualsiasi altra cosa.
Sono passati anni. Gli ex residenti dei campi profughi sono cresciuti e le loro strade si sono separate. Alcuni sono saltati sul carro delle nuove autorità filo-russe, inseguendo ricchezze favolose e incredibili carriere. Altri, come sognavano, sono entrati nelle milizie ribelli. Chi non ha voluto fare né l'una né l'altra cosa vive al margine della politica e della grande storia, cercando di sopravvivere e sfamare la propria famiglia. I campi dove insieme avevano odiato e amato sono stati demoliti da tempo.

Il "ceceno selvaggio"

Radjap Musaev è fra coloro che si sono abituati per tempo alle nuove autorità. Da adolescente, come decine di migliaia di profughi ceceni, viveva con la sua famiglia in Inguscezia. Di quei giorni rimane un'interessante video-intervista, rilasciata in un inglese stentato ad un giornalista straniero. Nel buio della tenda, con pochi poveri averi e i piatti di stagno donati da qualche organizzazione benefica, il piccolo Radjap racconta il suo sogno di diventare avvocato e difendere tutte le vittime della Russia. Sogna anche di citare in giudizio la Russia per quello che ha fatto al suo Paese.
Qualche anno dopo, Radjap è diventato uno dei più appassionati sostenitori della Russia. Nel suo blog, in cui si firma con il nome utente “ceceno selvaggio", parla di "mercenari stranieri" e denuncia gli Stati Uniti, che mirerebbero a indebolire la Russia per dominare il mondo incontrastati. Nelle appassionate invettive contro l'opposizione russa accusa la medesima di ricevere denaro dal Dipartimento di Stato americano nonché da tutta la NATO, che sognerebbe anch'essa il crollo della Russia. Questa propaganda, nel miglior stile delle agenzie di stampa sovietiche, sembra strana e incongrua in bocca allo stesso ragazzo, sebbene un po' cresciuto, che da un buio e umido campo profughi sognava di far condannare la Russia per crimini contro l'umanità. Difficile immaginare come in pochi anni questo ragazzo abbia potuto fare carriera nell'organizzazione filo-russa Nashi, diventandone coordinatore capo in Cecenia. Divenuto beniamino delle autorità, è stato poi nominato capo di "Grozny Inform", principale agenzia di stampa cecena.

L'autrice 

Mainat Kourbanova
Majnat Kurbanova
Majnat Kurbanova (Abdulaeva) è stata corrispondente per Novaja Gazeta da Grozny dall'inizio della seconda guerra cecena fino al 2004. Nei suoi reportage, pubblicati anche su testate giornalistiche europee, ha raccontato la vita, la sofferenza e la realtà quotidiana di chi ha continuato a vivere nella capitale della Cecenia anche sotto i bombardamenti. Costretta all'esilio, dal 2004 vive e lavora in Germania e Austria. Collabora con Osservatorio dal 2010.
Ma non è tutto. Come si è scoperto un paio di mesi fa, Musaev ha avuto accesso a milioni di rubli destinati da Nashi alla lotta contro i dissidenti in rete. Il gruppo di hacker Anonymous è entrato nella posta elettronica del capo-ufficio stampa di Nashi e ne ha diffuso in rete il contenuto, compresa la corrispondenza con Musaev. Le somme stanziate da Mosca per fare trolling su Internet, nonché per creare falsi blog con il progetto "Blogger caucasici”, lasciano allibiti. Per ogni lettera scritta, per ogni minuto passato in rete, per ogni provocazione lanciata sui blog sgraditi alle autorità, Musaev e i suoi compagni ricevevano fior di quattrini. Musaev stesso, emerge dalla corrispondenza, riceveva 18 milioni di rubli l'anno: 2,4 per il suo stipendio e il resto per costruire un'immagine positiva della Russia nella blogosfera, ovvero per attirare sempre più giovani nella rete dei "blogger caucasici". Non gratis, ovviamente. Così il ragazzo della tendopoli in Inguscezia è diventato milionario.

L'altra gioventù

Non è diventato milionario Arbi Sagaipov, anche lui vissuto nella tenda di un campo “umanitario” in Inguscezia più o meno negli stessi anni di Radjap. Nel 2004, quando il governo ceceno, dichiarata conclusa la guerra, cominciò a lottare per il ritorno dei profughi, Arbi aveva 16 anni, ma non fece ritorno in Cecenia: si trasferì invece, con la famiglia, a Mosca. Due anni dopo fu ammesso all'università e in seguito aprì, insieme al padre, una piccola impresa nella capitale russa. Ma nemmeno vivendo nel cuore di questo Paese è riuscito a perdonare la Russia, e tanto meno ad amarla.
Nel 2010, all'insaputa della famiglia, Arbi è tornato in Cecenia per unirsi ai ribelli, che allora nessuno chiamava più con il nobile nome di "combattenti della resistenza", ma solo terroristi. Da allora, sua madre Tamara lo cerca per tutta la Cecenia, nella speranza di dissuaderlo da una lotta apparentemente priva di senso. Una volta è riuscita ad entrare in contatto con un gruppo di ribelli in un bosco vicino al villaggio ceceno di Shatoi. "Sembravano quasi bambini”, racconta. “Nessuno di loro era più vecchio del mio Arbi ". Nel gruppo i ribelli erano una ventina. Si definivano mujaheddin e per loro combattere contro l'occupazione russa è una jihad: una guerra santa contro il nemico invasore, il dovere di ogni musulmano. "Li guardavo e non riuscivo a trattenere le lacrime. Sono bambini, hanno 17-18 anni. Che cosa hanno visto nella loro vita? E cosa sanno della vita? Perché devono vagare nei boschi, mezzi morti di fame, e morire così giovani, quando i loro coetanei vivono in grande stile? Devono morire solo perché non vogliono e non sono capaci di sottomettersi al potere?". Tamara non è riuscita a trovare suo figlio. I ribelli le hanno detto che in quel gruppo c'erano tre o quattro Arbi. E che i ribelli nelle foreste non usano i propri veri nomi. Tuttavia, Tamara torna in Cecenia alcune volte l'anno e vaga per villaggi e città, cercando informazioni sul figlio partito per questa guerra confusa e incomprensibile che ingoia le vite sempre più giovani.

Una questione di dignità

I giovani ceceni che vanno “nei boschi” per unirsi ai ribelli sono generalmente considerati disadattati. Numerosi esperti di Cecenia e Caucaso del nord vedono nella disoccupazione e nei problemi sociali il motivo principale che spinge i giovani alla lotta armata. Sarebbe certo sciocco negare l'influenza della disoccupazione e della mancanza di prospettive dei giovani ceceni sulla loro radicalizzazione, anche religiosa. Probabilmente, tuttavia, il motivo principale per cui, nonostante oltre un decennio di crudele persecuzione, la resistenza cecena non può essere schiacciata risiede nella tradizione patriarcale della società cecena, dove l'uomo non è solo colui che porta il pane a casa, ma prima di tutto il capo della famiglia. Ora la posizione degli uomini è cambiata drammaticamente. Non possono provvedere alla famiglia, e nemmeno proteggerla, se non collaborano con il regime e non diventano parte di esso.
Il fenomeno, totalmente nuovo in Cecenia, di uomini che dagli schermi televisivi cantano le odi delle autorità, rivaleggiando in servilismo e piaggeria, disgusta la generazione più giovane. Inoltre, con migliaia di uomini delle varie agenzie di sicurezza in giro armati giorno e notte, le violenze su persone inermi, o nella migliore delle ipotesi le umiliazioni verbali, sono all'ordine del giorno. Rivolgersi al tribunale è inutile, perché il tribunale, come le altre istituzioni statali, è dalla parte del potere.
Così parte della società cecena, educata in una tradizione di uguaglianza e giustizia, non trova posto nel nuovo sistema di regole che ha improvvisamente travolto il Paese, in cui il diritto è di chi ha armi e denaro, e per ottenere armi e denaro bisogna imparare a venerare Putin e i suoi luogotenenti. Ed ecco che cresce il divario fra i giovani che si abbeverano con piacere alle fonti del Cremlino e quelli che le considerano velenose.
Le ingiustizie e umiliazioni sofferte dai giovani ceceni per mano dei propri coetanei vicini al potere sono la principale risorsa della resistenza. In questo senso il governo ceceno, e il Cremlino che l'ha messo lì, lavorano instancabilmente per la resistenza, moltiplicando ogni giorno che passa le ingiustizie nel Paese e spingendo così i giovani alla lotta armata come unico mezzo per proteggere la propria dignità.

Articolo tratto da "Osservatorio Balcani e Caucaso"