martedì 10 luglio 2012

 


Il 27 maggio 2012 a Mosca un gruppo di manifestanti per i diritti del mondo LGBT e' stato attaccato, provocato e malmenato da poiliziotti, ultra-nazionalisti e donne appartenenti a fazioni estreme della chiesa ortodossa. Tutto in nome di un governo assolutista, di un esasperato nazionalismo e del solito Dio protettore degli indifesi.

martedì 3 luglio 2012


Da Facebook alla "Russia offline"
La protesta riparte dalla provincia

Un sit-in di solidarietà con Taisia Osipova a Mosca viene sgomberato dalla polizia di fronte alla sede dell’ex Kgb

Volantini e lezioni su Mandela
in piazza: «Non è vero che fuori Mosca tutti amano Putin»

SMOLENSK
La stagione delle dacie, quando tutti fuggono in campagna stirando il weekend al massimo, è aperta. Di tanto in tanto i leader dell’opposizione fanno capolino al Comitato Investigativo, dove sono sotto inchiesta per «disordini di massa». Ma le proteste sono sospese per ferie: la prossima manifestazione sarà a metà settembre. E allora si va fuori Mosca, a Smolensk, 400 km a SudOvest, nella provincia russa grande tallone d’Achille dei contestatori, la «Russia offline» dove le proteste non fanno breccia e il controllo è maggiore. Qui Taisia Osipova, 27 anni, diabetica e mamma di una bimba di 6 anni, attivista del movimento d’opposizione Altra Russia, è in carcere da 18 mesi e rischia 10 anni per «spaccio di droga». Un processo politico, secondo alcuni, ha suscitato dubbi persino nell’ex presidente Medvedev che l’ha fatto riaprire.

Taisia è paffuta, non è bella né trendy come le punk dissidenti Pussy Riot, beniamine dei media occidentali. «Dicono che se in aula non ci sarà nessuno, la sentenza sarà molto dura. Io ho la macchina, la prossima udienza è mercoledì, chi vuole venire?», lancia l’appello su Facebook Tamara Eidelman, 53 anni, insegnante di storia al liceo statale N° 1567 sulla prospettiva Kutuzovsky, uno dei migliori della capitale. Tamara fa parte dell’élite intellettuale che nei mesi scorsi è scesa in piazza, ma non riesce a farsi vedere in tv né sui giornali. H avuto una medaglia al merito da Putin, ma si è iscritta alla «Macchina Buona della Propaganda», il sito del blogger Alexey Navalny per reclutare attivisti pronti a diffondere il verbo dissidente nella Russia profonda, una sorta di moderno agitprop. Alla spedizione si uniscono Ulia e Ola, entrambe 23 anni, appena laureate, una in teatro, l’altra in belle arti, attive nella recente «Occupy» moscovita.

La vecchia Volkswagen della «Prof» si inoltra tra boschi di conifere e campi di lavanda, un rettilineo che arriva dritto al confine con la Bielorussia di Lukashenko, l’ultima dittatura d’Europa. Si punta verso Smolensk, chiese con cupole a cipolla e palazzi dell’epoca zarista sul Dniepr, ci passarono le truppe di Napoleone e Hitler. Non è una città povera: vive di transito (colonne di Tir interminabili, e forse contrabbando), e taglio dei diamanti. Ma i marciapiedi sono in stato disastroso. Il nastro bianco dell’opposizione, che Tamara ha annodato sulla borsa, qui è una rarità. Pochi hanno sentito parlare del caso Osipova, ma Alex, proprietario dell’ostello nello scantinato dietro la piazza col busto di Marx, lo conosce e dice «Sono con voi».

Da Mosca arrivano in treno altri tre attivisti. Non è la loro prima missione fuori: hanno raggiunto Yaroslavl, a Nord, per il monitoraggio del voto che ha aiutato la vittoria dell’opposizione, e ad Astrakhan, sul Caspio, dove il candidato sindaco sconfitto aveva lanciato uno sciopero della fame per protesta contro i brogli. «C’era un clima ostile, la polizia ci seguiva in strada, ma è venuta un sacco di gente, coi nastri bianchi – racconta Tamara. – Ho capito che non è vero che la provincia è tutta per Putin. Dobbiamo informare, convincere».

Il gruppetto critica la linea dei «capi»: le manifestazioni in piazza non bastano più, bisogna trovare nuovi e diversi tipi di protesta. «Scrivere volantini “Putin ladro” è stupido e serve a poco – dice Ulia – scriviamo cosa ha rubato, quando e dove, punto per punto. Dobbiamo parlare di asili, scuole, contattare le università, parliamo di problemi sociali». Pensano a creare database per ogni città, «per aggiungere temi locali». Tamara infila ogni mattina un pacco di volantini antiPutin nell’ascensore del suo condominio: «Ma dopo 10 minuti spariscono, è una lotta quotidiana». Però ha fiducia: «Le nuove generazioni sono completamente diverse da noi, non hanno mai vissuto nell’Urss e hanno teste libere. Possono cambiare le cose».

Ola non ha detto ai genitori del suo viaggio. Il padre è un ex deputato, pentito, del partito putiniano Russia Unita: «Per lui le manifestazioni non servono a nulla, dice che è impossibile cambiare la Russia». La «Prof» scherza: «Magari finirà come in “Mississipi Burning”, gli attivisti che spariscono per strada, o vengono ammazzati».

L’udienza si svolge a casa di Osipova: ispezione con incidente probatorio. Il nuovo processo è stato rinviato cinque volte, i testimoni non si sono presentati. Osipova è nella lista dei prigionieri politici dell’opposizione, un ricorso è approdato a Strasburgo. La casa è una villetta in mattoni nel silenzio della campagna, un gruppo di poliziotti viene incontro su per il sentiero: «Abbiamo avuto ordine di non farvi avvicinare». Ulia cita pronta la legge: «Abbiamo il diritto di filmarvi, siete nell’esercizio delle vostre funzioni». Tamara si siede su un masso, tra il cinguettio degli uccelli, e attacca la sua lezione su «Resistenza pacifica da Socrate a Martin Luther King», che aveva già tenuto agli Occupy di Mosca. «C’era una volta un uomo, viveva in Sud Africa, si chiamava Nelson Mandela…», poi Ghandi e Thoureau. Gli uomini in divisa voltano le spalle, guardando altrove. Ma un paio ascoltano attenti la «professoressa emerita» venuta da Mosca a difendere qualcuno che nemmeno conosce.

articolo di LUCIA SGUEGLIA, tratto da 'la stampa'

giovedì 28 giugno 2012


Un generale del ministero degli Interni: in Russia è avvenuta la completa saldatura dello stato con la criminalità
 
Il generale di divisione del ministero degli Interni della Federazione Russa e noto criminologo russo Vladimir Semënovič Ovčinskij, che in passato fu a capo dell'ufficio russo dell'Interpol, ha concesso un'intervista che ha colpito per sincerità. Il generale ha ammesso che in Russia è avvenuta la completa saldatura dello stato con la criminalità e che i banditi si sono "trincerati" a tutti i livelli del potere.
Secondo l'esperto, i raggruppamenti criminali organizzati (OPG [1]) del periodo della tarda URSS e dello stabilimento del sistema statale russo contemporaneo non si sono nascosti da nessuna parte, ma sono semplicemente mutati qualitativamente. "Probabilmente la principale differenza dei nuovi banditi sta nel fatto che mai – né negli anni '80, né negli anni '90 – c'era stata una così massiccia presenza di rappresentanti delle strutture statali ufficiali negli OPG. Si può dire con certezza che da noi nel paese non ci sia una sola struttura statale "immacolata" – che sia il governo, un ministero, l'apparato dei governatori o una giunta comunale", – dice il dottore in Scienze Giuridiche Vladimir Ovčinskij.
Un posto particolare in questa "hit parade" della corruzione è occupato dalle strutture armate. Neanche nei "feroci anni '90" ci fu un così massiccio coinvolgimento di agenti delle forze dell'ordine nelle OPG. "In qualità di illustrazione si può portare il totalmente fantastico caso dei procuratori dei dintorni di Mosca che gestivano il "racket" del gioco d'azzardo. Come ex capo dell'Interpol affermo che non esistono analoghi al mondo", – ha aggiunto il criminologo. A suo parere, i procuratori dei dintorni di Mosca si sono rivelati rappresentanti di una specie del tutto nuova di criminali. Non sono semplicemente dei corrotti.
"Queste persone avevano incluso in se la funzione dei banditi. Estorcevano personalmente, minacciavano personalmente, accompagnavano personalmente i banditi. Non è mai successo che il vice-procuratore della regione di Mosca sia fuggito e sia ricercato. E' una cosa senza precedenti", – dice Vladimir Ovčinskij. Letteralmente a maggio 2011 si era concluso il processo alla OPG "di Bratsk [2]" che si occupava di attività da raider, di attività boschive illegali, omicidi e racket. Questo sindacato criminale era capeggiato da un deputato del partito pro-Cremlino "Russia Unita", il noto uomo d'affari Vadim Maljakov. E l'iniziatore degli omicidi era il capo dell'UVD [3] di Bratsk Vladimir Utvenko, i cui ordini erano eseguiti da poliziotti e banditi. Infine, coordinatore delle loro azioni era il deputato dello LDPR [4] Aleksandr Zagorodnev. Vent'anni anni fa solo a qualche raro bandito riusciva "penetrare al potere". Un "fortunato" del genere fu, per esempio, un "ladro nella legge" [5] soprannominato Barboncino, che ottenne lo status di assistente "sociale" [6] del presidente della Federazione Russa Boris El'cin. "A suo tempo qualcuno lo piazzò furtivamente. Ma ciò non durò a lungo", – ha aggiunto il generale di divisione del ministero degli Interni.
Un altro esempio singolo è il noto bandito Michail Monastyrskij, che si è seduto in una poltrona da deputato. "Ma sono tutti esempi singoli. Ciò non aveva un carattere di massa, ecco in cosa consiste la differenza principale. Ma ora avviene una qualche "statalizzazione della mafia" – le strutture mafiose di fatto hanno preso a sostituire la leadership reale", – dice il dottore in Scienze Giuridiche. La mafia russa si sente a suo agio perfino nelle sfere legali del mondo degli affari, mentre in Europa la criminalità organizzata si esclude gradualmente da là. Un esempio di trasformazione di assassini in "manager efficienti" [7] è la banda degli Capok nel villaggio cosacco di Kuščëvskaja nel Kuban' [8].
Il criminologo volge l'attenzione anche a un'altra tendenza pericolosa – a dare il cambio agli OPG in Russia sono giunti i clan. "Se prima ciò era caratteristico dei fuoriusciti dal Caucaso, adesso la tendenza si è diffusa in tutto il paese. Tutta la Russia è in mano ai clan. E a capo di questi clan, di regola, ci sono autorità del mondo criminale", – afferma Vladimir Ovčinskij. A suo dire, un OPG si può incriminare, ma Temi non è in grado di sgominare un clan. L'involucro del clan, composto da rappresentanti dell'intellighenzia (medici, economisti, insegnanti), ritiene il nucleo criminale un'avanguardia ed è pronto a difenderlo.
"Così è stato, peraltro, a Kuščëvskaja. La banda che aveva occupato tutto il villaggio cosacco era pure un clan sui generis. In questo caso gli Capok formavano un nucleo di livello regionale", – nota l'esperto. Ora la Russia può essere colpita da una nuova ondata di violenza, in quanto perfino i criminali più incalliti, condannati nei "feroci anni '90", andranno in libertà. A dimostrazione il generale di divisione porta la statistica della Corte Suprema per gli anni 2004-2009. Per esempio, su tutti gli omicidi premeditati l'ergastolo è stato erogato nello 0,2% dei casi. In 25 anni ci sono state condanne solo nel 3-4% dei casi. Su 234 mila condannati per lesioni gravi, fra cui quelle che hanno causato la morte, hanno avuto il massimo della pena solo due banditi. E di questa categoria di condannati il 37% ha avuto la condizionale ed è rimasto in libertà. Per banditismo in questo periodo sono state incriminate 1180 persone. Tra queste solo tre hanno avuto il massimo della pena. Per aggressione di tipo banditesco sono state condannate 147 mila persone. Tra queste hanno avuto il massimo della pena solo in sette. Per l'abbastanza raro articolo "Organizzazione di comunità criminale" sono state condannate 440 persone. Tra queste solo 37 mafiosi hanno avuto il massimo della pena. "Ma neanche quelli che hanno il massimo della pena se ne dolgono particolarmente. Vanno in libertà condizionata dopo metà della pena. Perciò tutto il contingente degli anni '90, che, come ci sembra, è in prigione, è uscito da tempo. Tanto più che ci sono tutte le condizioni per questo", – ha ricapitolato Vladimir Ovčinskij.
A quanto dice il criminologo, nessuno dei vecchi banditi è divenuto un cittadino obbediente alla legge dopo la "gattabuia". Secondo la legge del mondo criminale, se uno era un leader, lo rimane. "Un generale del ministero degli Interni si può mandare in pensione e dimenticare, ma nella mafia i generali del mondo criminale non vengono mandati in pensione", – afferma l'ex capo dell'ufficio russo dell'Interpol. La criminalità russa ha anche le proprie "particolarità nazionali". Per esempio, in nessun posto al mondo ha avuto larga diffusione un tipo di reati come le attività da raider. Vladimir Ovčinskij ritiene che in una vera sconfitta nella guerra alla criminalità si sia mutata la fatale decisione del 2008, quando furono sciolte le UBOP (Upravlenija po Bor'be s Organizovannoj Prestupnost'ju [9]) e presto tutte le forze furono gettate nella lotta ai famigerati estremisti.
"Gli specialisti ritengono che nel 2008, dopo la liquidazione di questi reparti speciali, la situazione sia stata fatta tornare d'un colpo a 20 anni fa. In conseguenza di questo passo sconsiderato abbiamo perso le strutture che dovevano occuparsi della criminalità organizzata e insieme a queste un gran numero di professionisti", – dice il generale di divisione del ministero degli Interni. Inoltre i materiali di tipo investigativo riguardanti i raggruppamenti banditeschi organizzati sono stati perduti o distrutti. Anche se il pubblico è stato assicurato che tutto è stato conservato. Per questo a livello del paese sono rimasti incontrollati fino a 80 mila membri attivi di raggruppamenti criminali organizzati.
http://ingushetiyaru.org/news/23057.html (traduzione e note di Matteo Mazzoni)
[1] Dalla dicitura russa Organizovannye Prestupnye Gruppirovki.

[2] Città della Siberia meridionale.

[3] Upravlenie Vnutrennich Del (Direzione degli Affari Interni), in pratica la polizia.

[4] Liberal'no-Demokratičeskaja Partija Rossii (Partito Liberal-Democratico di Russia), ad onta del nome partito nazionalista e populista.

[5] Criminale legato a un codice.

[6] Nel senso di "non partitico".

[7] Putin ha applicato tale definizione a Stalin...

[8] Regione della Russia meridionale.

[9] "Direzioni per la Lotta alla Criminalità Organizzata".
 
 

lunedì 18 giugno 2012


ACCUSE DI MORTE AD UN GIORNALISTA DELLA 'NOVAYA GAZETA' 

La democrazia russa sembra spostarsi di un passo in avanti e uno indietro. I nuovi movimenti sociali che domandano una maggior trasparenza dell’operato del sistema governativo si scontra con situazioni che sembrano riprendere vita dai terremotati anni novanta quando i confronti stile far west erano fatti giornalieri e le dispute si risolvevano a colpi di pistola.
Certi membri del parlamento non sono di fatto cambiati. Il loro modo di pensare sembra rimasto incagliato nel fango del passato. Il miglior modo di risolvere una questione passa attraverso una sparatoria. Perché perdere tempo in lungaggini democratiche fatte d’inutili parole? La pistola è molto più efficace. Basta ricordare che decine di giornalisti sono stati uccisi negli ultimi vent’anni in circostanze più che dubbie. I processi si sono arenati e la gente tenuta allo scuro.
L’ultimo di questi fatti ha avuto luogo qualche giorno fa, quando il direttore del giornale “Novaya gazeta” ha accusato il capo del Comitato Investigativo Alexander Bastrykin di aver guidato Sergey Sokolov, vice redattore del suo giornale, in una foresta fuori Mosca e averlo minacciato di morte. “La brutale realtà è che non solo ha minacciato di morte il mio collega ma l’ha anche schernito ricordandogli che sarebbe poi stato lui, l’investigatore a investigare sul suo decesso” ha aggiunto il direttore del giornale.
Il motivo della minaccia risale a un articolo pubblicato da Sokolov in cui il giornalista critica il modo in cui Bastrykin aveva trattato il caso contro Sergey Tsepovyaz il quale, sebbene accusato di aver coperto il massacro di dodici persone nella regione di Krasnoyarsk, è stato liberato dietro il pagamento di una multa di 4.500 dollari. Bastrykin non ha apprezzato le critiche del giornalista e per questo ha deciso di metterlo in guardia.
La minaccia rappresenta una violazione immane dei diritti umani e della libertà di stampa in Russia. Inoltre, acquisisce ancora maggiore cupezza se si pensa ai numerosi omicidi di giornalisti avvenuti negli ultimi anni, tra cui quello di Anna Politkovskaya, anche lei giornalista della “Novaya Gazeta”.
Bastrykin, dopo qualche giorno di silenzio, ha negato le accuse: “Non riesco neanche a ricordare l’ultima volta in cu sono stato in una foresta. Il lavoro intenso non mi lascia tempo libero per viaggi in campagna. Queste accuse sono solo insensate dichiarazioni di una mente creativa”.  
Il potere e l’influenza del Comitato Investigativo e di Bastrykin sono senza limiti. La sua impunità è assicurata, la possibilità del cittadino di mettere in discussione le sue decisioni è inesistente. L’organismo riferisce direttamente a Vladimir Putin, tra l’altro ex-compagno universitario di Bastrykin. 

MB

mercoledì 13 giugno 2012


LE MARCE CONTINUANO

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(Nel manifesto si legge : "Russia avanti! Senza Putin) 

Putin appena ricandidato e subito dà una rimpastata alle regole. Una delle prime mosse è stata quella di rendere la vita dell’opposizione e delle migliaia di persone che non lo vogliono più al potere più difficile, soprattutto dal punto di vista economico. Forse avrà pensato che se i manganelli dei temuti Omon (unità speciale della polizia russa) non bastano, magari qualche bella multa potrebbe azzittirli. Alcune delle multe sono le seguenti:
 - Se durante la dimostrazione si presenterà un numero di dimostranti maggiore di quello previsto dagli organizzatori, allora questi ultimi dovranno pagare tra i 250 e i 500 Euro.
 - Nel caso in cui i dimostranti intralcino la strada agli automobilisti o ai pedoni, la multa arriverà fino ai 1000 Euro.
 - L’utilizzo di maschere o altri oggetti i quali possono essere considerati pericolosi, sono proibiti. Come lo è partecipare alla dimostrazione in stato di ebbrezza. Qui la multa potrebbe giungere ai 7000 Euro. 
- Ogni tipo di raduno superiore alle tre persone, se non approvato dalla municipalità, può essere considerato illegale e quindi potenzialmente sanzionato.

Nonostante le misure appena descritte, la seconda dimostrazione pubblica rinominata “La marcia del milione” ha avuto luogo questo passato fine settimana. La milizia russa si è comportata in maniera stranamente civile. A differenza della prima marcia, non si sono avuto scontri. Eppure, il giorno della dimostrazione, i siti internet di alcune delle maggiori testate giornalistiche anti-governative, “Echo Moskvy”, “Novaya Gazeta” e il canale televisivo online “Dozhd tv” sono stati attaccati da pirata informatici e non hanno potuto trasmettere in diretta le proteste di quasi 100.000 dimostranti.
Chissà con quale altra trovata il governo cercherà di ostacolare la prossima marcia e spezzare l’avanzata della nuova società russa. 

MB

domenica 3 giugno 2012


Cecenia, scelte di vita

campo rifugiati ceceni
Campo rifugiati per ceceni (flickr/EU Humanitarian Aid and Civil Protection)
In Cecenia vi sono giovani che fanno rapidamente carriera e vivono nel benessere. Tessere le lodi di Putin e Kadyrov è una delle condizioni per riuscirci. Ma per tutti gli altri, la vita può essere molto difficile
Solo qualche anno fa, l'attuale gioventù cecena era tutta sulla stessa barca, o meglio nello stesso campo profughi. In senso letterale e figurato. Ammassati in tende e treni abbandonati nei campi profughi delle repubbliche confinanti con la Cecenia, i giovani erano uniti nelle simpatie e nell'odio. Appena adolescenti, pregavano per i ribelli ceceni e sognavano di crescere al più presto per unirsi alle milizie e vendicarsi dei russi. L'odio per la Russia li univa più di qualsiasi altra cosa.
Sono passati anni. Gli ex residenti dei campi profughi sono cresciuti e le loro strade si sono separate. Alcuni sono saltati sul carro delle nuove autorità filo-russe, inseguendo ricchezze favolose e incredibili carriere. Altri, come sognavano, sono entrati nelle milizie ribelli. Chi non ha voluto fare né l'una né l'altra cosa vive al margine della politica e della grande storia, cercando di sopravvivere e sfamare la propria famiglia. I campi dove insieme avevano odiato e amato sono stati demoliti da tempo.

Il "ceceno selvaggio"

Radjap Musaev è fra coloro che si sono abituati per tempo alle nuove autorità. Da adolescente, come decine di migliaia di profughi ceceni, viveva con la sua famiglia in Inguscezia. Di quei giorni rimane un'interessante video-intervista, rilasciata in un inglese stentato ad un giornalista straniero. Nel buio della tenda, con pochi poveri averi e i piatti di stagno donati da qualche organizzazione benefica, il piccolo Radjap racconta il suo sogno di diventare avvocato e difendere tutte le vittime della Russia. Sogna anche di citare in giudizio la Russia per quello che ha fatto al suo Paese.
Qualche anno dopo, Radjap è diventato uno dei più appassionati sostenitori della Russia. Nel suo blog, in cui si firma con il nome utente “ceceno selvaggio", parla di "mercenari stranieri" e denuncia gli Stati Uniti, che mirerebbero a indebolire la Russia per dominare il mondo incontrastati. Nelle appassionate invettive contro l'opposizione russa accusa la medesima di ricevere denaro dal Dipartimento di Stato americano nonché da tutta la NATO, che sognerebbe anch'essa il crollo della Russia. Questa propaganda, nel miglior stile delle agenzie di stampa sovietiche, sembra strana e incongrua in bocca allo stesso ragazzo, sebbene un po' cresciuto, che da un buio e umido campo profughi sognava di far condannare la Russia per crimini contro l'umanità. Difficile immaginare come in pochi anni questo ragazzo abbia potuto fare carriera nell'organizzazione filo-russa Nashi, diventandone coordinatore capo in Cecenia. Divenuto beniamino delle autorità, è stato poi nominato capo di "Grozny Inform", principale agenzia di stampa cecena.

L'autrice 

Mainat Kourbanova
Majnat Kurbanova
Majnat Kurbanova (Abdulaeva) è stata corrispondente per Novaja Gazeta da Grozny dall'inizio della seconda guerra cecena fino al 2004. Nei suoi reportage, pubblicati anche su testate giornalistiche europee, ha raccontato la vita, la sofferenza e la realtà quotidiana di chi ha continuato a vivere nella capitale della Cecenia anche sotto i bombardamenti. Costretta all'esilio, dal 2004 vive e lavora in Germania e Austria. Collabora con Osservatorio dal 2010.
Ma non è tutto. Come si è scoperto un paio di mesi fa, Musaev ha avuto accesso a milioni di rubli destinati da Nashi alla lotta contro i dissidenti in rete. Il gruppo di hacker Anonymous è entrato nella posta elettronica del capo-ufficio stampa di Nashi e ne ha diffuso in rete il contenuto, compresa la corrispondenza con Musaev. Le somme stanziate da Mosca per fare trolling su Internet, nonché per creare falsi blog con il progetto "Blogger caucasici”, lasciano allibiti. Per ogni lettera scritta, per ogni minuto passato in rete, per ogni provocazione lanciata sui blog sgraditi alle autorità, Musaev e i suoi compagni ricevevano fior di quattrini. Musaev stesso, emerge dalla corrispondenza, riceveva 18 milioni di rubli l'anno: 2,4 per il suo stipendio e il resto per costruire un'immagine positiva della Russia nella blogosfera, ovvero per attirare sempre più giovani nella rete dei "blogger caucasici". Non gratis, ovviamente. Così il ragazzo della tendopoli in Inguscezia è diventato milionario.

L'altra gioventù

Non è diventato milionario Arbi Sagaipov, anche lui vissuto nella tenda di un campo “umanitario” in Inguscezia più o meno negli stessi anni di Radjap. Nel 2004, quando il governo ceceno, dichiarata conclusa la guerra, cominciò a lottare per il ritorno dei profughi, Arbi aveva 16 anni, ma non fece ritorno in Cecenia: si trasferì invece, con la famiglia, a Mosca. Due anni dopo fu ammesso all'università e in seguito aprì, insieme al padre, una piccola impresa nella capitale russa. Ma nemmeno vivendo nel cuore di questo Paese è riuscito a perdonare la Russia, e tanto meno ad amarla.
Nel 2010, all'insaputa della famiglia, Arbi è tornato in Cecenia per unirsi ai ribelli, che allora nessuno chiamava più con il nobile nome di "combattenti della resistenza", ma solo terroristi. Da allora, sua madre Tamara lo cerca per tutta la Cecenia, nella speranza di dissuaderlo da una lotta apparentemente priva di senso. Una volta è riuscita ad entrare in contatto con un gruppo di ribelli in un bosco vicino al villaggio ceceno di Shatoi. "Sembravano quasi bambini”, racconta. “Nessuno di loro era più vecchio del mio Arbi ". Nel gruppo i ribelli erano una ventina. Si definivano mujaheddin e per loro combattere contro l'occupazione russa è una jihad: una guerra santa contro il nemico invasore, il dovere di ogni musulmano. "Li guardavo e non riuscivo a trattenere le lacrime. Sono bambini, hanno 17-18 anni. Che cosa hanno visto nella loro vita? E cosa sanno della vita? Perché devono vagare nei boschi, mezzi morti di fame, e morire così giovani, quando i loro coetanei vivono in grande stile? Devono morire solo perché non vogliono e non sono capaci di sottomettersi al potere?". Tamara non è riuscita a trovare suo figlio. I ribelli le hanno detto che in quel gruppo c'erano tre o quattro Arbi. E che i ribelli nelle foreste non usano i propri veri nomi. Tuttavia, Tamara torna in Cecenia alcune volte l'anno e vaga per villaggi e città, cercando informazioni sul figlio partito per questa guerra confusa e incomprensibile che ingoia le vite sempre più giovani.

Una questione di dignità

I giovani ceceni che vanno “nei boschi” per unirsi ai ribelli sono generalmente considerati disadattati. Numerosi esperti di Cecenia e Caucaso del nord vedono nella disoccupazione e nei problemi sociali il motivo principale che spinge i giovani alla lotta armata. Sarebbe certo sciocco negare l'influenza della disoccupazione e della mancanza di prospettive dei giovani ceceni sulla loro radicalizzazione, anche religiosa. Probabilmente, tuttavia, il motivo principale per cui, nonostante oltre un decennio di crudele persecuzione, la resistenza cecena non può essere schiacciata risiede nella tradizione patriarcale della società cecena, dove l'uomo non è solo colui che porta il pane a casa, ma prima di tutto il capo della famiglia. Ora la posizione degli uomini è cambiata drammaticamente. Non possono provvedere alla famiglia, e nemmeno proteggerla, se non collaborano con il regime e non diventano parte di esso.
Il fenomeno, totalmente nuovo in Cecenia, di uomini che dagli schermi televisivi cantano le odi delle autorità, rivaleggiando in servilismo e piaggeria, disgusta la generazione più giovane. Inoltre, con migliaia di uomini delle varie agenzie di sicurezza in giro armati giorno e notte, le violenze su persone inermi, o nella migliore delle ipotesi le umiliazioni verbali, sono all'ordine del giorno. Rivolgersi al tribunale è inutile, perché il tribunale, come le altre istituzioni statali, è dalla parte del potere.
Così parte della società cecena, educata in una tradizione di uguaglianza e giustizia, non trova posto nel nuovo sistema di regole che ha improvvisamente travolto il Paese, in cui il diritto è di chi ha armi e denaro, e per ottenere armi e denaro bisogna imparare a venerare Putin e i suoi luogotenenti. Ed ecco che cresce il divario fra i giovani che si abbeverano con piacere alle fonti del Cremlino e quelli che le considerano velenose.
Le ingiustizie e umiliazioni sofferte dai giovani ceceni per mano dei propri coetanei vicini al potere sono la principale risorsa della resistenza. In questo senso il governo ceceno, e il Cremlino che l'ha messo lì, lavorano instancabilmente per la resistenza, moltiplicando ogni giorno che passa le ingiustizie nel Paese e spingendo così i giovani alla lotta armata come unico mezzo per proteggere la propria dignità.

Articolo tratto da "Osservatorio Balcani e Caucaso"  

sabato 12 maggio 2012


Russia: autorità minacciano sgombro per l'Occupy moscovita



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Sembra durerà poco la tolleranza delle autorita' russe verso la nuova forma di protesta dell'opposizione: una sorta di accampamento pacifico e senza bandiere politiche, che in stile Occupy, ha 'preso possesso' da tre giorni dei giardini di Chistye Prudy (Stagni puliti), nel centro della capitale. Secondo quanto riportato dal giornale Afisha, il portavoce del presidente Vladimir Putin, Dmitri Peskov, ha definito "illegale" l'iniziativa e ha promesso che le forze dell'ordine la disperderanno presto. Peskov aveva usato parole forti gia' all'indomani degli scontri tra manifestanti e polizia, avvenuti domenica alla vigilia dell'insediamento di Putin al Cremlino. "Avrebbero dovuto essere più duri", aveva detto riferendosi alla reazione degli agenti davanti alla folla che ha rotto i cordoni in piazza Balotnaja. Il bilancio della "marcia del milione" era stato di 37 feriti e oltre 400 arresti. Da allora a Mosca non si sono fermate le proteste. Dalle "passeggiate del popolo" (sit-in improvvisati in giro per il centro) si e' passati a quello che e' stato ribattezzato #occupyabai (questo l'hash tag usato su Twitter), dal nome del poeta kazako, Abai Kunanbayev, sotto la cui statua si e' radunato questo accampamento pacifico di chitarre, intellettuali, studenti, famiglie e anche veterani che chiedono di nuovo il "rispetto dei loro diritti di base", come elezioni oneste e stampa libera, spiega una degli esponenti del movimento, Ksenia Sobchak. Ex Paris Hilton russa, trasformatasi in giornalista politica e pasionaria della piazza, la Sobchak arriva tutti i giorni a Chistye Prudy con viveri e bevande. Questa sera portera' una troupe televisiva per trasmettere dai giardini della protesta il suo talk-show politico, Gosdep-2. Attesi i volti piu' noti della contestazione anti-Putin, come pure sostenitori del neo-presidente russo. "Dobbiamo dimostrare che siamo uniti e concentrare tutte le nostre forze qui a Chistye Prudy - arringa la folla e i giornalisti la Sobchak - rimarremo almeno fino alla liberazione di Navalny e Udaltsov", due dei leader del movimento condannati a 15 giorni di detenzione amministrativa per resistenza a pubblico ufficiale, durante una delle ultime manifestazioni della settimana. Ieri sera, sotto la statua del finora sconosciuto Abai sono arrivate oltre 1.500 persone, mentre dalle strade limitrofe le auto suonano il clacson in segno di solidarietà. Difficile prevedere l'evoluzione della protesta: "Finora la polizia si e' comporta bene", racconta il popolo di OccupyAbai, ma se gli agenti (parcheggiati in tre autobus vicino alla piazza) interverranno contro cittadini pacifici, questa volta potrebbe accendersi la scintilla della violenza, dice qualcuno.
  "Quando saremo ancora di piu' - spiega Ilya Yashin, altro attivista di spicco - ci sposteremo in un luogo piu' capiente e questo finche' saremo cosi' tanti che non potranno ignorarci".
  Finora i numeri non sembrano spaventare il Cremlino, ma c'e' chi ipotizza che la rinuncia di Putin a partecipare al vertice G8 negli Usa sia dovuta proprio alla situazione in patria e soprattutto alla possibilita' di ricevere critiche da parte degli altri capi di Stato. 



Testo originale tratto dalla seguente pagina web http://www.agi.it/estero/notizie/201205111122-est-rt10059-russia_autorita_minacciano_sgombro_per_l_occupy_moscovita

giovedì 10 maggio 2012


L’ESERCITO: UN PERFETTO MAESTRO DI VITA
Questo sette maggio Putin ha ripreso ufficialmente quel posto che per quattro anni è stato occupato, diciamo per metà, da Medvded. Alla sua uscita molti si chiedono quale sia l’eredità  che lascia al popolo russo. Certamente non ricca. Le riforme riguardanti la moderazione, la lotta alla corruzione e la ricostruzione degli ambiti giudiziari si sono sciolte come neve a primavera. C’è una cosa però che si è sviluppata, l’armamento bellico. I controlli alle dogane russe, notoriamente difficili da trapassare per qualsiasi visitante estero, si aprono gentilmente all’arrivo dei mezzi pesanti. Il benvenuto è stato dato a vari veicoli armati italiani M65 prodotti dall’Iveco, a svariati aerei radioguidati israeliani, a navi d’assalto anfibie francesi e ai fucili britannici AWM. Chissà se questa innovazione potrebbe essere sufficiente a far entrare Medvedev nella schiera, finora piuttosto esile, dei presidenti amati dai cittadini russi. La possibilità c’e’. D’altronde la necessità di porsi di nuovo come forza militare primaria in ambito internazionale è sentita da tutta la popolazione. Sono questi rimasugli dell’era sovietica quando l’URSS primeggiava in questo campo. Sono come mine inesplose sperse per i vecchi campi di battaglia ora calpestati da innocenti contadini. Il ritornello che passa di bocca in bocca è indicativo: “La Russia è da sempre stata una grande potenza e tale deve ritornare”. E poi c’è la sentita necessità di difesa nazionale. Difendersi dagli altri, qualunque bandiera essi portino in mano. Difendersi dai ceceni, dai daghestani, dai georgiani, dagli americani, dagli israeliani e così via. Difendersi soprattutto da se stessi: “Il russo ha una personalità instabile che può essere sottomessa solo attraverso la forza”, “Il territorio russo è enorme e solo la forza può tenerlo sotto controllo”, questo dicono i russi di se stessi. D’altronde il leone può essere domato solo con la frusta e l’orso tenuto fermo dalla catena. Così si sentono i russi, orsi e leoni. Grandi, forti ma iracondi ed incontrollabili. Dostoevskij l’aveva rivelato attraverso il suo grande inquisitore dei Fratelli Karamazov quando diceva che “l’essere umano ha bisogno e volontà di essere controllato da una forza superiore altrimenti si autodistruggerà”. Più di cento anni sono passati ma per i russi tale frase è ancora attuale.
La potenza e la militarizzazione è d’altronde un tratto tipico di questa nazione. Lo sfoggio dei carri armati, dei missili, delle uniformi per la via Tverskaya durante le settimane precedenti il giorno della vittoria sui tedeschi del 9 maggio è inebriante e vanitoso. Come una donna che si abbellisce prima di una serata fuori con le amiche. Fucili come borsette, missili come anelli, bombe come gioielli, carri armati come Mercedes. La gente cammina per le strade inneggiando a voce alta i loro avi per la vittoria della seconda guerra mondiale.  Nelle macchine compaiono scritte come “Grazie nonno per la vittoria”, “Abbiamo vinto!”, “Avanti verso Berlino”. Slogan che intendono ricordare la vittoria sui tedeschi più che la stupidità di una guerra che ha lasciato senza vita quasi una generazione intera di giovani dalle speranze troncate. Guerre perse, come quella in Afganistan, devono essere dimenticate, come se la qualità di un deceduto dipendesse dall’esito della guerra stessa. Bisogna ringraziare e venerare i combattenti vincitori e mettere da parte quelli perdenti. Uccidere una seconda volta, questo è il risultato di tale anomalia. Si uccidono il corpo e il ricordo. Dei giovani morti in Cecenia non se ne parla perché quella è ancora una guerra non vinta. Gli ex-combattenti ancora non trentenni dai corpi mutilati devono essere nascosti e quelli senza gambe, che girano per le strade o per le metropolitane, appoggiati in tavole di legno con rotelle, che si barcamenano in mezzo allo sfarzo e all’eleganza dei nuovi russi, facendo l’elemosina, trafiggono l’occhio ma non il cuore del passante. Bisogna ricordare, seppure per una settimana, il nonno morto sessanta anni fa e distogliere l’occhio dalle atrocità delle guerre moderne.
Eppure la necessità di vivere in una nazione potente è più forte di tutto il resto: “La Russia deve aumentare il suo armamento bellico. Così facendo le altre nazioni ci temeranno e rispetteranno”. Questo mi ha detto una mia ex studentessa russa di circa quattordici anni. Il sottostante è invece il poster gigante che colmava la vista del passante in una via non troppo lontana dal centro di Mosca.   

Nel poster si legge: “L’esercito: un perfetto maestro di vita. L’esercito attraverso gli occhi dei bambini”. Ed ancora: “Pubblicità approvata dal comune di Mosca”. 











MB

giovedì 3 maggio 2012


GIORNALISTA DI SPICCO ASSALITA NELLA NOTTE

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Poco dopo la mezzanotte del 5 aprile, due uomini hanno attaccato Elena Milashina, una prominente giornalista russa appartenente al giornale indipendente Novaya Gazeta e una sua amica. L’assalto è accaduto non lontano dalla casa della giornalista a Balashika, un paese alle porte di Mosca.
“Quando un coraggioso giornalista che lavora in un ambiente ostile viene attaccato, le autorità hanno il dovere di controllare se si tratti di un comune atto di aggressione o di una vera e propria minaccia collegata alla sua professione” ha detto Hugh Williamson, direttore del dipartimento dell’Europa e dell’Asia centrale di Human Rights Watch.  
Come riportato dalla stessa Milashina, la giornalista è stata attaccata con calci e pugni rivolti principalmente alla testa. Ne è uscita con una serie di lividi per tutto il corpo, una dozzina di ematomi e un dente rotto. Gli aggressori hanno attaccato anche l’amica della Milashina ma la giornalista sembra essere stata il bersaglio primario dell’assalto.  All’arrivo di tre passanti, gli aggressori si sono dileguati con il portafoglio della Milashina e il laptop della sua amica.
Elena Milashina ha ricevuto l’eredità di Anna Politkovskaya, punta di diamante della Novaya Gazeta, uccisa brutalmente nel 2006, continuando il suo lavoro di reporter di abusi dei diritti umani nelle turbolente zone del Caucaso del nord, Cecenia compresa. Quando poi Natalia Estemirova, prominente protettrice dei diritti umani in Cecenia e stretta collaboratrice della Milashina, è stata violentemente uccisa nel 2009, lei ha iniziato una personale investigazione dell’assassinio. Non è da escludere questa come possibile ragione dell’attacco. La Milashina aveva inoltre già ricevuto numerose minacce connesse a questa sua attività investigativa.
La polizia è arrivata sul luogo dell’assalto con circa novanta minuti di ritardo. All’arrivo ha trattato la Milashina con rudezza e incuranza. Le due amiche si sono così dirette verso casa e si sono recate all’ospedale solo la mattina seguente. “Questa inspiegabile lentezza della polizia seguita da una pressoché assenza di assistenza medica ci preoccupa enormemente, ” ha detto Willamson.
Nel 2009 a Elena Milashina è stato consegnato il premio Alison Des Forges che viene attribuito annualmente dall’organizzazione Human Rights Watch a chi mette a rischio la propria vita per la protezione della dignità e i diritti degli altri. 


Il testo è una traduzione del seguente articolo http://www.hrw.org/news/2012/04/06/russia-prominent-journalist-attacked

mercoledì 25 aprile 2012


A Soči gli analisti di "Human Rights Watch" hanno registrato violazioni dei diritti umani nel corso della preparazione alle Olimpiadi
I rappresentanti di "Human Rights Watch" hanno segnalato violazioni dei diritti umani dei lavoratori immigrati che vengono commesse a Soči nella preparazione alle Olimpiadi. Sono state segnalate anche violazioni legate al sistema di espropri e di trasferimenti di persone per la costruzione di impianti e infrastrutture olimpici, casi di violazioni della libertà di parola e pressioni su giornalisti e attivisti civici.

La situazione dei diritti umani a Soči legata alla preparazione ai Giochi Olimpici nel corso della settimana è stata analizzata dalla prima analista per l'Europa e l'Asia Centrale dell'organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani "Human Rights Watch" Jane Buchanan insieme alla collega di Mosca Julija Gorbunova.

Jane Buchanan ha raccontato al corrispondente di "Kavkazskij uzel" che questa sua visita a Soči non è la prima – visita la città già da tre anni, continuando a studiare la situazione dei diritti dei lavoratori immigrati e delle persone trasferite, della limitazione della libertà di parola e della pressione sugli attivisti civici.
"Il nostro lavoro è costituito da interviste alle vittime e sulla base di queste interviste scriviamo rapporti in cui enunciamo la situazione e segnaliamo le violazioni. Sulla base di questo governi, corporazioni e altri devono reagire" – dice l'analista Jane Buchanan.
Con gli attivisti per i diritti umani si sono incontrati i lavoratori immigrati che lavorano alla costruzione di impianti olimpici. "Otto persone sono arrivate dal Tagikistan e dall'Uzbekistan. Qui si sono trovati un lavoro e si sono scontrati con situazioni molto complesse", – ha raccontato Jane Buchanan.
Uno di loro ha raccontato che per tre mesi a lui e alla sua brigata non hanno pagato lo stipendio, anche se fornivano alloggio e cibo. Hanno dato solo 100-200 rubli [1] per le sigarette e per telefonare. Di conseguenza ha lasciato questo lavoro senza ricevere alcuno stipendio.
"Questi ha raccontato anche che il datore di lavoro gli prese il passaporto per due mesi perché non potesse andarsene da nessuna parte [2] – questo è considerato lavoro forzato (schiavitù). Questa persona si trova in una situazione senza uscita e questa è una violazione molto seria", – ha dichiarato Buchanan.

Buchanan ritiene che la legislazione in Russia sia abbastanza sviluppata e che siano previsti diritti corrispondenti alle richieste internazionali, perciò il governo è obbligato a superare queste violazioni, cioè fare di tutto perché non si verifichino. Buchanan indirizza anche l'attenzione degli stessi lavoratori immigrati sull'indispensabilità di lottare per i propri diritti.

"Vogliamo molto che gli stessi lavoratori, quando si scontrano con dei problemi, si rivolgano per avere aiuto alle organizzazioni sociali, alla procura o all'ispettorato del lavoro perché ci sia attenzione e queste violazioni siano indagate più spesso. E' molto importante il ruolo della società civile perché in presenza di tali violazioni gli attivisti agiscano e si rivolgano anche da qualche parte per avere informazioni su violazioni", – ha dichiarato Buchanan.

Oltre all'inosservanza dei diritti dei lavoratori immigrati gli analisti di "Human Rights Watch" hanno registrato violazioni legate al sistema di espropri e di 
trasferimenti di persone per la costruzione di impianti olimpici e infrastrutture, casi di violazione della libertà di parola, pressioni su giornalisti e attivisti civici.
"Le persone trasferite avrebbero dovuto ricevere un normale risarcimento o un'abitazione corrispondente, ma non in tutti i casi è stata ricevuto un risarcimento che corrisponde al prezzo reale dell'immobile oppure le persone sono state trasferite in abitazioni in condizioni sfavorevoli. 
Giornalisti e direttori di mezzi di comunicazione di massa hanno ricevuto minacce, il cui scopo era cancellare gli articoli o cambiarli in modo tale che non fossero di acuta critica. Si verificano casi in cui un giornalista vuole capire la situazione da vari punti di vista, ma le alte personalità non rispondono alle domande e non esprimono una posizione, perciò per giornalista è difficile scrivere o parlare di questo tema come richiede il giornalismo", – ha chiarito Jane Buchanan.
Durante questo viaggio le attiviste per i diritti umani non si sono incontrate con i rappresentanti degli organi di potere o delle compagnie che portano avanti la costruzione degli impianti olimpici, ma hanno raccolto materiali per elaborare e presentargli in seguito raccomandazioni per migliorare la situazione nella Soči olimpica.

Ricordiamo che in precedenza nel corso del monitoraggio di Human Rights Watch a Soči legato alla preparazione alle Olimpiadi invernali del 2014 furono evidenziati due problemi, la cui soluzione operativa potrebbe essere, secondo gli attivisti per i diritti umani, escludere serie violazioni: la mancanza di trasparenza negli espropri di immobili per costruire impianti olimpici e le condizioni in cui lavorano i costruttori.

"Human Rights Watch" ha dichiarato che i partecipanti al Congresso Olimpico devono elaborare un meccanismo continuo di valutazione della situazione dei diritti umani nel paese ospite prima, durante e dopo lo svolgimento dei Giochi Olimpici.

Come ha già comunicato "Kavkazskij uzel", contro il programma di preparazione di Soči alle Olimpiadi fin dall'iniziointerviene una serie di organizzazioni ecologiste, sociali e politiche, facendo dichiarazioni su una catastrofe ecologicae sulle inevitabili liti tra il potere e la popolazione della città.

Nota della redazione: vedi anche le notizie "Gli abitanti di Soči dichiarano di rifiutare la formalizzazione da parte delle autorità degli appezzamenti di terreno che gli appartengono", "A Soči dopo una serie di picchetti è stato deciso di congelare la costruzione di un parcheggio sul territorio di un centro scolastico", "A Soči per macchinazioni con appezzamenti di terreno è stato condannato un gruppo di 13 persone".

Autore: Semën Simonovfonte: corrispondente del "Kavkazskij uzel" 
"Kavkazskij uzel", http://www.kavkaz-uzel.ru/articles/205324/ (traduzione e note di Matteo Mazzoni)

Note
[1] Circa 2,5-5 euro.

[2] In tutta la ex Unione Sovietica il passaporto è l'unico documento di identità.
 

sabato 14 aprile 2012


L'ONU ha presentato rimostranze per via di Magnitskij

Il relatore speciale dell'ONU per la questione delle torture Juan Méndez ha presentato rimostranza nei confronti della Russia per via dei casi del giurista del fondo "Hermitage Capital" Sergej Magnitskij, morto nel SIZO [1], dell'attivista per i diritti umani uzbeko di "Memorial" Bachrom Chamroev, picchiato dalla polizia nell'estate 2010 e per una serie di altre storie clamorose in cui sono coinvolti agenti delle strutture armate russe. Questi casi sono descritti nell'allegato al rapporto di Méndez dell'anno scorso "Torture e altri pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti". Il documento è stato trasmesso al Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU alla fine di febbraio.
Nel caso Magnitskij Méndez ritiene importante sottolineare che "quando uno stato incarcera un cittadino, si prende l'alta responsabilità della difesa dei suoi diritti, in primo luogo della sua salute fisica". Il relatore rimanda alla decisione della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, secondo cui è stata introdotta la presunzione di colpevolezza dello stato per i danni alla vita e alla salute di detenuti, arrestati e condannati. Solo una profonda, rapida e imparziale indagine sulle circostanze degli incidenti nei luoghi di detenzione può cancellare tale presunzione. "Nel caso Magnitskij i tentativi di presentare la sua morte come causata da motivi naturali appaiono particolarmente poco convincenti, tenendo conto dei documenti clinici disponibili e del fatto che gli fu rifiutato un tempestivo aiuto medico nonostante il peggioramento del suo stato", – afferma Méndez. "Il relatore speciale è particolarmente preoccupato dal fatto che, nonostante i pubblici ufficiali responsabili dell'arresto di Magnitskij e del suo cattivo trattamento nel SIZO siano stati identificati, il loro comportamento non è stato indagato nel modo dovuto", – si indica nei documenti del Consiglio per i Diritti Umani dell'ONU.
Méndez, indagando sulle accuse di "sistematica impunità" alle strutture armate russe, si ferma anche su un altro caso – il pestaggio da parte di poliziotti fino alla perdita di conoscenza del collaboratore di "Memorial" Bachrom Chamroev, di nazionalità uzbeka. Il relatore speciale invita le forze dell'ordine russe a indagare su questo caso e punire i colpevoli. Méndez difende anche i diritti di Rasul Kudaev, uno dei condannati per il caso dell'attacco dei militanti islamici a Nal'čik [2] nell'ottobre 2005. Kudaev, afferma il relatore, più di una volta fu sottoposto a pestaggi che si possono paragonare a torture, tuttavia gli organi competenti non reagirono ad alcuna sua denuncia in proposito. Un altro caso di cui si è interessato Méndez è stato la morte nel maggio dello scorso anno del detenuto della colonia penale n. 1 (della città di Kopejsk nella regione di Čeljabinsk [3]) Sergej Samujlenkov, di cui nella risposta ufficiale del governo russo si dice che "molte volte compì atti di autolesionismo e più di una volta tentativi di suicidio". Per il suicidio di Samujlenkov (si impiccò alla grata della propria cella) non è stato avviato un procedimento penale, tuttavia, come nota il relatore, il governo russo ha concordato sul fatto che nei confronti dei detenuti della colonia penale n. 1 erano state usate "forza fisica e misure speciali", in conseguenza delle quali tre di essi erano morti. Sulla base dei risultati delle indagini erano stati incriminati alcuni ufficiali dello UFSIN [4].Altri due casi indicati da Méndez riguardano il sequestro e la detenzione forzata dell'attivista sociale inguscio Magomed Chazbiev nel giugno 2011 e la decisione di consegnare al Tagikistan l'ex deputato del parlamento della repubblica Nizomchon Džuraev. In entrambi i casi i pubblici ufficiali russi violarono la Convenzione dell'ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, giunge alla conclusione il relatore.
(traduzione e note di Matteo Mazzoni)

[1] Sledstvennyj IZOljator (Carcere di Custodia Cautelare).

[2] Capitale della Kabardino-Balkaria.

[3] Città della Russia asiatica ai piedi degli Urali.

[4] Upravlenie Federal'noj Služby Ispolnenija Nakazanij (Direzione del Servizio Federale per l'Esecuzione delle Pene).

lunedì 9 aprile 2012


L’OROLOGIO DEL PATRIARCA


Mentre la chiesa e la società russa sprecano le loro forze mentali alla ricerca di un modo in cui obiettivamente processare i membri del gruppo Pussy Riot per il loro ‘inaccettabile’ concerto in chiesa, c’è chi preferisce spendere i loro averi, della chiesa e della società, in maniera più materiale e raffinata.
Mi riferisco al patriarca Cirillo che, durante una riunione con il ministro della giustizia russo, ha sfoggiato al polso un orologio del valore di circa 30 mila euro. Il fatto risale a qualche tempo fa ma i bloggers russi hanno deciso di resuscitarlo in concomitanza delle forti parole di accusa contro il gruppo Pussy Riot dello stesso patriarca.
Il fatto più moralmente scoraggiante non è però probabilmente questo ma la decisione della chiesa russa di eliminare, con l’aiuto di fotoshop, l’oggetto incriminato. Il tentativo malriuscito è stato scoperto grazie al riflesso dell’orologio ‘trasparente’ sul tavolo.
“Una celere investigazione inizierà al più presto per individuare i colpevoli e punirli severamente”, queste le parole del portavoce della chiesa ortodossa.  
Le stesse misure saranno prese nei confronti delle ragazze dei Pussy Riot ree di far parte di un pericoloso movimento anti-russo che ha come primo obiettivo quello di incrinare la trasparenza di Putin, descritto dalla stessa chiesa “Un miracolo di Dio”.
Siamo di fronte ai soliti giochi di falso moralismo, abuso di potere e ricchezza ostentata, proprio lì dove la moderazione dovrebbe essere di casa. D’altronde chi è che gira per le strade della capitale in Mercedes dai vetri oscurati, equipaggiate da sirene e macchine della polizia che fanno da apripista? Politici, oligarchi e alti membri della chiesa ortodossa.  


MB

sabato 7 aprile 2012


Pussy Riot alla sbarra

Il gesto della band femminista di suonare provocatoriamente all'interno della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca ha avuto grande risonanza pubblica
Pussy Riot alla sbarra
Foto: Itar-Tass
I fatti, prima dei commenti. Il 21 febbraio 2012 cinque ragazze col viso coperto da maschere sono entrate di corsa nell’ambone della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca ed hanno tentato di improvvisare un concerto, gridando: “Maria, madre di Dio, manda via Putin”. Il tutto è avvenuto in meno di un minuto e sono state fermate dalla sicurezza della cattedrale. Il 2 marzo 2012 la polizia di Mosca ha intentato causa facendo riferimento all’articolo inerente agli atti di teppismo, che prevede fino a sette anni di carcere; è stata aperta la caccia alle ragazze. Il 4 marzo 2012 sono state fermate due attiviste del gruppo Pussy Riot, Nadezhda Tolokonnikova e Maria Alehina, e poco tempo dopo ne è stata fermata un’altra, Ekaterina Samucevich. Le ragazze sono in stato di fermo per 60 giorni, periodo di durata delle indagini.

Il gesto delle Pussy Riot ha avuto grande risonanza pubblica. La questione è stata dibattuta pubblicamente in particolare nei blog. “Non ci si deve chiedere se uscite del genere in moschee e sinagoghe, e non solo nelle cattedrali ortodosse, vadano perdonate o incoraggiate. Il punto è che il teppismo è teppismo, anche in biblioteca”, ha scritto ad esempio il blogger pioneer-lj. I blogger sono divisi: c’è chi cerca di “capire e perdonare” e chi è per “punire e far pagare”.

La direzione della Chiesa Ortodossa Russa e buona parte dei credenti esigono che le femministe siano punite e hanno chiamato la società a condannare il gesto e a riconoscerlo come reato. Rappresentanti ufficiali della Chiesa Ortodossa Russa hanno dichiarato di non reputare necessario il fermo della Tolokonnikova, della Alehina e della Samucevich, e nemmeno il carcere effettivo, ricordando che gli organi che hanno in mano le indagini fanno il proprio lavoro in modo indipendente dalla Chiesa. Ma il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia Kirill ha giudicato inaccettabili i tentativi di giustificare le responsabili.

Dal canto suo, il Consiglio Interreligioso della Russia (che riunisce organizzazioni ortodosse, islamiche, buddiste e induiste) ha invitato le Pussy Riot a scusarsi pubblicamente. Ma c’è anche chi richiama alla calma. Vladimir Legojda, guida del dipartimento informativo sinodale della Chiesa Ortodossa Russa, non vede motivo di tenere in stato di fermo le donne; quello che è importante, per lui, è che il tutto avvenga entro i limiti della legge: “La Chiesa da sempre invita alla misericordia. E questa non è un’eccezione. <…> Parte della società si sta facendo un’immagine sbagliata e pensa che le colpevoli siano in stato di fermo per volere della chiesa. Ovviamente non è così. Inoltre, l’attenzione di media ed opinione pubblica è incentrata sulla vita privata delle ragazze, alcune delle quali sono mamme di bambini piccoli”.

Sergej Smirnov, membro del collegio di avvocati “Yukov, Khrenov & Partners”, non ritiene che l’azione delle Pussy Riot sia perseguibile penalmente: “Questo è un caso di mera infrazione amministrativa dell’articolo inerente agli atti di teppismo non gravi”. E per questo credo che in questa situazione l’arresto preventivo e l’azione legale con riferimento all’articolo sugli atti di teppismo siano infondati e non consoni. Tuttavia, il periodo di 60 giorni è parte della prassi, non è per niente una misura severa. Quando un caso va in tribunale con istanza di misure cautelari in forma di arresto, il periodo è, appunto, di due mesi. Faccio fatica a prevedere i prossimi sviluppi. Ma, purtroppo, il nostro diritto penale è strutturato in modo tale che, se un caso finisce in tribunale e non alla corte dei giurati (e qui non ci troviamo di fronte ad una situazione del genere) quasi sicuramente il processo termina con una condanna”.

L’avvocato delle Pussy Riot, Violetta Volkova, ha dichiarato che, in caso di esito negativo per le ragazze, farà ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. “Procedimenti penali per un caso come questo non se n’erano mai visti prima”, ha spiegato.

Testo tratto da Russia Oggi